DESIRÉE E LA SOGLIA CHE NESSUNO DOVREBBE OLTREPASSARE

Desiree: caccia al branco, sei interrogati

DESIRÉE E LA SOGLIA CHE NESSUNO DOVREBBE OLTREPASSARE
di Alessio Guidotti – Operatore Progetto Force

Desirée è il nome dell’ultima ragazza, in ordine cronologico, morta in condizioni drammatiche che sembrano essere il punto di arrivo di una caduta a piombo. Pamela e Desirée, gli ultimi due drammi a distanza di alcuni mesi, la cornice della marginalità estrema e della droga. Ai nostri occhi di operatori sociali della bassa soglia, delle unità di strada e della riduzione del danno quella cornice è ben nota, perché è la cornice nella quale ci muoviamo quotidianamente.

Quelle vite in caduta libera le conosciamo bene, spesso assistiamo impotenti a quelle traiettorie a piombo verso un tonfo che segna la fine di una vita, altre volte di quella vita riusciamo a fermare la corsa verso la fine, cioè diamo il nostro contributo perché questo non avvenga. Quel cancello dello stabile abbandonato dove all’interno Desirée ha trovato la violenza, l’aggressione, la morte, ecco quel cancello noi metaforicamente lo abbiamo ben presente. E’ una soglia che separa il margine dal baratro.

Molte ragazze che vivono contesti estremi dove si mescolano disagi personali, drammi familiari, sommati a dipendenze più o meno consolidate, sono perennemente davanti quel cancello. E’ un cancello dove si viene spinti davanti dal dolore, da una società che non ha tempo, spazio, modo, per coinvolgere e attirare a se invece di spingere ai margini, margini che alcune vite sembra portino già con sè. Fanno rabbia poi, ai nostri occhi di operator sociali, le prese di posizione a posteriori. Noi che tante volte vorremo solo una sedia su cui sederci e poter dire quello che vediamo e sentiamo, e che abbiamo compreso. Non è semplicemente una questione di fondi stanziati, poliziotti da mettere in ogni dove, o tolleranze zero che non hanno sinora portato a nulla. E di questo ne abbiamo conferma quotidianamente.

Forse pochi riescono a comprendere realmente il nostro lavoro, e più spesso veniamo scambiati per una qualche specie di volontari dall’anima pia, essendo quasi inconcepibile nel 2018 prendere atto che occuparsi del diritto alla salute di chi vive ai margini è un dovere della società civile, di una società civile. Il lavoro di strada, la bassa soglia, si occupa di una umanità che, in questa società, anche se tra spinte e “motu proprio”, si colloca ai margini, davanti a cancelli che rappresentano la soglia verso un baratro da cui è una scommessa uscire vivi.

Non è difficile per noi operatori immaginare quella scena, dove forse Desirée in astinenza o in down di cocaina ha deciso di passare quella soglia, andando incontro all’ultimo tratto di una caduta libera iniziata chissà quanto prima, dove il carnefice che si materializza, il declassamento a oggetto del proprio corpo è li ad aspettare chissà da quanto tempo. Dal nostro punto di vista, dalla nostra prospettiva di operatori di strada a volte sembra di vedere degli appuntamenti che le persone si sono dati, con il dolore, l’emarginazione, l’overdose, il carcere, la depressione che arriva quando ci si sente schiacciati da una vita ai margini, che sembra non avere vie di uscita.

Il nostro lavoro spesso è quello di far saltare questi appuntamenti, metterci davanti a cancelli come quello che ha varcato Desiré, che non è solo un cancello fisico di ferro ma è appunto una soglia oltre la quale il ritorno è incerto.

E’ necessario che le unità di strada siano maggiormente riconosciute non solo a livello istituzionale, ma anche a livello di quartiere.

Il nostro lavoro è rivolto alla comunità tutta, anche se promuoviamo la salute, nella sua definizione più ampia, per chi è in una condizione di maggiore fragilità. Ma da soli possiamo fare poco rispetto quello che potremmo fare uniti, ci serve riconoscimento, solidarietà e vicinanza da parte di tutta la comunità. Non siamo solo quelli che distribuiscono siringhe. La relazione è il nostro vero strumento di lavoro, non certo la “parafernalia”.
Ma solo se siamo riconosciuti come parte integrante di una comunità che vuole “star bene”, con la consapevolezza che la marginalità esiste ma va ridotta la sua distanza da un centro.
Dove la persona è riconosciuta ed accettata pur con le sue fragilità.
Dove nessuna persona deve arrivare a trovarsi davanti a un cancello che diventa una soglia tra la vita e la morte.